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Quanta nostalgia di Beppe Viola

La mia recensione sul libro “Vite vere, compresa la mia” (edizioni Quodlibet) uscita sabato 2 gennaio 2016 su Quotidiano Nazionale (il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno)

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«Erano quasi le tre, si perdeva di già e non ci hanno dato un rigore». Scanzonata come ogni canzone di Cochi & Renato, “Cesarini”. Scanzonata come quella Milano lì che si allungava tra il bar Jamaica, di via Moscova, il Derby e la pasticceria Gattullo, il luogo dove Beppe Viola inventò l’ufficio facce, dove scommetteva se l’avventore del locale fosse milanista o interista. In una Milano che non era ancora da bere (fortunamente) ma in cui si beveva: bianchini e Campari, cui anche il Beppe Viola non si sottraeva. Una Milano che quella generazione lì – quella del Derby, dei ragazzi di piazza Adigrat come Jannacci e Viola – è riuscita a raccontare così bene da rendere nostalgici anche chi non ci ha mai vissuto o l’ha soltanto conosciuta, seguendo un particolarissimo filo rosso che si dipana da Bianciardi per arrivare appunto a Viola. E che comunque ha tra i riferimenti culturali il Linus di Oreste Del Buono. Quodlibet, casa editrice marchigiana, ha deciso così di (ri)pubblicare “Vite vere, compresa la mia”; gli scritti di Beppe Viola – che di professione faceva il giornalista sportivo in Rai, orgogliosamente redattore ordinario – apparsi sulla rivista di Odb dal 1977 al 1982. C’è tutto il mondo del Pepinoeu, come lo ribattezzò Brera nell’articolo che gli scrisse per salutarlo definitivamente. Ci sono pezzi spassosi e ormai celebri come “Lettera al direttore”. «Ho quarant’anni , quattro figlie e la sensazione di essere preso per il culo. Non ho mai rubato né pianoforti né sulle note spese. Non ho attentato alle virtù delle numerose signore e signorine che circolano al terzo piano. Vado a Londra, a spese mie, per imparare l’inglese. L’hanno fatto Marx e Mazzini, posso permettermelo anch’io». E fulminanti come il pezzo iniziale «Mio padre giocava ai cavalli, mio nonno a scopa». Il libro rispetto all’edizione originaria esce arricchito da un’introduzione di Stefano Bartezzaghi che precede la prefazione storica di Enzo Jannacci e che parla di come Viola sia stato capace di inventare il milanesco e di crearsi un suo stile, inimitabile, fedele solo a se stesso, tanto da dimostrare una coerenza anarchica.

 

 

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Libri/45 Una famiglia alla ricerca del tempo

 

La mia recensione sul libro di Maurizio Salabelle “La famiglia che perse tempo”  uscita oggi su Qn-Quotidiano Nazionale (il Resto del Carlino-La Nazione-Il Giorno)

 

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Il  titolo, innanzitutto: “La famiglia che perse tempo” . E se invece, avesse perso il tempo (l’articolo determinativo potrebbe fare la differenza in questo caso)? Perché la famiglia che Maurizio Salabelle (scrittore toscano di origini sarde scomparso nel 2003 a 44 anni) ci descrive è una famiglia ossessionata dal tempo. E soprattutto dagli orologi. Salabelle ha scritto questo romanzo alla fine degli anni Ottanta. Ed è rimasto nel cassetto fino a quest’anno. Fino a quando Quodlibet, la casa editrice marchigiana, ha deciso di pubblicarlo nella collana ‘‘Compagnia Extra’’ curata da Ermanno Cavazzoni e Jean Talon.
Una famiglia bislacca, si diceva, ossessionata dagli orologi che vanno fuori tempo: le lancette camminano troppo veloci o troppo lente. Ma come può tenere il tempo questa famiglia che sembra ancor di più ossessionata dalle “infezioni” e dal contagio? Ecco, provare a descrivere questo romanzo è pressoché impossibile. Proprio perché i componenti di questa famiglia sembrano indecifrabili, almeno per quelle che sono le convenzioni non solo narrative. E se questo romanzo con l’altra ossessione – che spesso ha colui che si mette a leggere un libro con l’intenzione di definire e (appunto) catalogare ciò che non lo è, per sentirsi a proprio agio e avere delle certezze – rappresentasse davvero, spingendoci magari oltre o non cogliendo nel segno, lo spirito dei tempi che stavano cambiando? Se uno andasse addirittura oltre, vedendo dei richiami a Chernobyl (la paura del contagio, appunto) e all’ormai traballante politica dei blocchi e alla conseguenziale crisi delle ideologie? La fine degli anni Ottanta, eccoci, con tutto un mondo esterno che all’improvviso diventava difficile da decifrare: «la casa era temporaneamente disorientata e dai muri delle camere si stava staccando la carta fiorita». Potrebbe essere un’ipotesi di lettura. Certo è che questo libro di Salabelle colpisce proprio per la capacità di descrivere a fondo i personaggi: descrizioni minuziose, ricche di aggettivi e tic. Che non possono lasciare indifferenti. Anzi, in alcuni casi, turbano anche.

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