Archivio mensile:giugno 2020

Siamo chiusi in una scatola nera: Ustica, 40 anni dopo, spiegata ai ragazzi

Nella notte in cui Bob Marley canta a San Siro, un aereo precipita in mare, a pochi passi dall’isola di Ustica. E’ il 27 giugno 1980, quarant’anni fa. Spiegare ai diciottenni di oggi cosa è stata la strage di Ustica non è affatto semplice: loro sono cresciuti in un altro mondo. Quando cadde l’aereo avevo esattamente un anno. Ma la fortuna – si fa per dire – arrivò a dieci anni dalla strage, quanto meno dal punto di vista divulgativo. Nel 1991 esce il film “Muro di gomma” di Marco Risi, costruito attorno alla vicenda professionale di Andrea Purgatori, allora giornalista del Corriere della Sera che, per primo, a due giorni dalla strage, paventa la possibilità che l’aereo sia stato colpito e abbattuto da un missile. Questa storia, questa strage non ha nulla di musicale, è la negazione assoluta della musica, è intrisa di silenzi e quando i silenzi vengono rotti, spesso le cose dette, riferite e raccontate non sono quelle vere. Eppure c’è almeno una canzone, scritta nel 1992 da Francesco De Gregori (che curò, pur non apparendo nei titoli di coda del film “Muro di gomma”, la colonna sonora), “Sangue su Sangue”, che meglio di centinaia di ricostruzioni squarcia il velo su che cosa sia stata e su che cosa è – impossibile parlarne ancora e solo al passato – la strage di Ustica. 

“Che siamo chiusi in una scatola nera, stella, nessuno ci aprirà, Chiusi in una scatola nera, stella, nessuno ci libererà”.

Nel 1993 De Gregori è sul palco del teatro di Longiano, paese romagnolo, per “Teatri di verità”, un anno dopo l’uscita del disco “Canzoni d’amore”, in cui è contenuto “Sangue su sangue”. Attacca col pezzo e lo dedica alle vittime di Ustica, tra il pubblico c’è Daria Bonfietti, che è la presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, costituitasi da poco per scuotere l’immobilismo (tutti i resti del volo sono stati recuperati solo a 10 anni dalla strage) più o meno generale di fronte alla richiesta di verità. La scatola nera dell’aereo va aperta e decifrata. Solo qualche giorno fa l’ultimo passaggio di questa storia, di questa strage, di questo grande mistero d’Italia (e di Stato). Dalla conversazione interrotta e registrata sul nastro della scatola nera tra il pilota e il suo “secondo” che per molti anni era rimasta solo “Gua…”, grazie alle nuove tecnologie si sarebbe arrivati a un più completo “Guarda”. Che cosa doveva guardare sul monitor? E soprattutto, che cosa accadde quella notte nei cieli italiani?

Una manciata di mesi fa la proposta: provare a raccontare alle ultime due classi di Scientifico e Classico della mia città, Senigallia, che cosa è stato e cosa è (ancora) Ustica, in questo 2020 che è anche anniversario tondo della Strage. Da dove partire? Da Bologna, dall’aeroporto Marconi, da dove iniziò l’ultimo viaggio di 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Ottantantuno vittime più una: Aldo Davanzali il presidente di Itavia, il principale vettore aereo privato allora in Italia, che ha visto fallire la sua compagnia, cui fu tolta la licenza di volo per una tesi di non verità, sconfessata dai fatti, ma fatta passare per verità. Il cedimento strutturale dell’aereo. Davanzali sostenne che il suo Dc9 era stato abbattuto. E’ morto senza giustizia e senza verità. Solo qualche settimana fa ai suoi eredi e ai suoi familiari è stato riconosciuto un risarcimento, perché ministeri di Difesa e Trasporti, quella notte, non garantirono la sicurezza nei cieli.

Ecco, comunque che cosa accadde da una manciata di minuti dopo le 20 di quel 27 giugno 1980 in poi. 

Un aereo della principale compagnia privata italiana, l’Itavia, con nella fusoliera la scritta I-Tigi, decollò dall’aeroporto di Bologna alle 20,08. L’aereo era diretto a Palermo. A bordo c’erano 77 passeggeri, tra cui 11 bambini e 2 neonati, e 4 membri dell’equipaggio. E’ il tempo che scandisce questa storia. Allora come ora. L’aereo decolla con due ore di ritardo. A seguire il viaggio del Dc-9, questo il modello dell’aereo dell’Itavia, è il radar di Ciampino: invia il segnale ogni sei secondi all’aereo e l’aereo fa altrettanto, per mappare il percorso.

Dopo 40 minuti di volo, sopra il lago di Bolsena, il pilota fa notare un’anomalia a Ciampino: ha trovato, fin lì, tutti i radiofari spenti. Cosa inusuale.

Dodici minuti dopo, alle 20,56, l’aereo è a 44 miglia a sud di Ponza, continua a viaggiare alla velocità di 800 chilometri orari, e può prepararsi alla manovra per atterrare all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo, operazione stimata in una ventina di minuti.

Tre minuti dopo, alle 20,59, il volo è sparito. Viene dichiarato disperso un’ora più tardi.

E da lì comincia una storia di misteri, depistaggi, inchieste e processi (in sede penale e civile), lunga quarant’anni.

All’alba del 28 giugno, nei pressi di Ustica, un’isola siciliana, vengono notati in mare prima dei detriti, poi una chiazza oleosa e infine alcuni corpi dei passeggeri. Saranno solo 38 le salme interamente recuperate (43, se nel conto vengono inseriti anche i resti di alcuni passeggeri).

Ma perché il Dc-9 si è inabissato? Ci sono almeno due inchieste, a Palermo e a Roma, che provano a far luce. E poi ce ne saranno tante altre. Ma il giorno dopo il Corriere della Sera, il 29 giugno 1980, titola in prima pagina sull’ipotesi che sia stato un missile ad aver colpito e fatto precipitare l’aereo.

Il missile è una delle ipotesi, le altre due sono: un cedimento strutturale, ipotesi sostenuta con forza anche dai vertici dell’Aeronautica Militare, e una collisione con un altro aereo.

L’ipotesi del cedimento strutturale è smentita non solo dal fatto che l’aereo, pur essendo vecchio avesse passato tutte le revisioni, ma anche perché solitamente in caso di un cedimento strutturale, il pilota ha il tempo di dare l’allarme e avvisare. Cosa che non è successa, perché la fine del Dc-9 è stata immediata. Ma tra le tante storie nella Storia di Ustica c’è anche quella della famiglia Davanzali, proprietaria della compagnia Itavia, cui fu ritirata la licenza di volo, dando per buona l’ipotesi del cedimento strutturale. E la compagnia aerea, già con i conti in rosso, finì in amministrazione straordinaria. Si è vista riconoscere un risarcimento solo dopo quasi quarant’anni (è notizia di qualche settimana fa), perché ministeri di Difesa e Trasporti non furono in grado di garantire la sicurezza dei cieli quella notte.

C’è un’altra ipotesi che prende corpo, sostenuta in alcuni ambienti (anche politici), ma che, concretamente, mostra molti limiti: lo scoppio di una bomba nella toilette dell’aereo. Se davvero fosse scoppiata una bomba, fanno notare alcuni periti, non sarebbero mai stati ritrovati intatti lavandino e water del bagno, ciò che invece avvenne.

I resti dell’aereo, appunto. La verità, forse, sta a 3.700 metri sotto il livello del mare. Ma ci vogliono almeno sei anni prima che quei resti vengano recuperati e l’operazione di recupero del relitto si concluderà solo nel 1990, dieci anni dopo la strage. Con qualche sorpresa, come il ritrovamento di un serbatoio di un Caccia. Che cosa ci fa un serbatoio di un Caccia, insieme ai resti del Dc-9? Quella notte, nonostante i radiofari siano spenti, c’è un traffico aereo militare intenso nei cieli italiani e nella fattispecie sopra il Tirreno. Anche questo sarà accertato solo con molto ritardo. Anche quest’aspetto servirà a formulare ulteriori domande per provare a capire come è successo e perché è successo.

Così come il ritrovamento dei resti di un Mig libico, avvenuto ventuno giorni dopo la strage di Ustica, sulla Sila. Gli scenari che si delineano superano la cronaca, nera o giudiziaria che sia, per arrivare a toccare la geopolitica, fino a pensare che quella notte del 27 giugno 1980, sui cieli italiani ci sia stata una battaglia aerea: aerei militari italiani che si alzano in volo e forse francesi e americani. E poi c’è quel Mig libico che è vero che viene ritrovato ventuno giorni dopo la strage, ma il corpo del pilota, così come sottolineerà il sottosegretario alla presidenza del Consiglio di allora, Giuliano Amato, è in avanzato stato di decomposizione. E quindi, c’è qualcosa che non torna con la datazione del luglio 1980 per l’incidente del Mig, forse va anticipata.  La Libia sembra che avesse un lasciapassare nei cieli italiani, nonostante Gheddafi fosse all’epoca nemico giurato degli Stati Uniti (e di conseguenza anche di francesi, inglesi e dei paesi Nato), per andare in Jugoslavia per far revisionare i propri aerei.

Se fosse un libro, per dirla alla Carlo Lucarelli (di cui vale la pena vedere la puntata di “Blu notte-Misteri d’Italia” su Ustica), sarebbe un giallo di quelli avvincenti, pieno di intrighi internazionali. Che è poi quello che, trent’anni dopo la strage, dirà Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, a proposito di Ustica: “ci furono intrecci eversivi, intrighi internazionali e opacità di comportamento dei corpi dello Stato nell’accertamento della verità”. Ma non è un libro e nemmeno un film purtroppo. Ci sono 81 morti e ancora tante famiglie che continuano a soffrire perché non sanno come sono morti i loro cari e proseguono la ricerca della verità. Le ultime sentenze civili avvalorano l’ipotesi del missile che ha colpito e ha abbattuto il Dc-9. Ma se fosse così, da chi è partito quel missile? 

La battaglia dei parenti delle vittime, riunitisi in associazione nel 1988, non si è mai fermata. Continua, perché si può prescrivere tutto, ma non una strage. Dal 2006, a Bologna, i resti del Dc-9 (sono 2.500 frammenti) sono esposti nel Museo della Memoria delle vittime di Ustica. Più che un modo per ricordare, è un modo per non dimenticare mai che cosa accadde quella notte del 27 giugno 1980.

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