Subito una citazione. Doverosa, giusta, necessaria. Julian Barnes scrive e lo fa a dire al protagonista del suo romanzo “Il Senso di una fine” (Einaudi edizioni, 17,50 euro), Tony Webster: “La nostra vita non è la nostra, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato”. Gira e rigira, nonostante il colpo di scena finale del romanzo (un po’ forzato, ma l’attesa era stata comunque creata a dovere), al termine della lettura di questo libro si fanno i conti proprio con questa frase appena citata. Che cos’è o meglio che cos’è stata la nostra vita, almeno nel bilancio che è costretto a fare dall’inaspettata rivoluzione degli eventi il protagonista del romanzo? Ho letto questo libro in un paio di giorni e l’ho iniziato subito dopo aver terminato “Limonov”. “Limonov” è la vita, decisamente romanzata, di un uomo degli eccessi. Ma Limonov in persona sarebbe riuscita a scriverla e a raccontarla così se quella biografia fosse stata un’autobiografia? Gli ci voleva uno scrittore, anche se lui Limonov è uno scrittore. E la citazione iniziale torna prepontemente. Solo quando ci troviamo a riflettere, magari a colpi di nostalgia, sul nostro passato, su quel vissuto che magari a intermittenza torna nel presente, che ci poniamo il problema: ma abbiamo davvero vissuto così come la stiamo raccontando la nostra vita? Tony nel libro scopre, piano piano, facendo i conti col passato, con il primo amore, con le amicizie andate, come la sua vita sia stata qualcosa di ben diverso da quello che ha raccontato o solamente creduto negli ultimi 40 anni. Non c’è niente di eccezionale in questo libro e nemmeno di sensazionale, ma la citazione iniziale si insinua e non ci abbandona, rimestando sul nostro vissuto e sulle convinzioni che fino, a un attimo prima, avevamo.