“Urbino, Nebraska”: la provincia e la sua mozione degli affetti

La mia recensione sul libro di Alessio Torino “Urbino, Nebraska” uscita sabato su Qn (il Resto del Carlino – La Nazione – Il Giorno)

 

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Ester e Bianca, un ago in vena e la morte: l’esistenza di due sorelle si spegne così, davanti alla Fortezza Albornoz. Un’istantanea di fine anni ’80. L’ultimo romanzo di Alessio Torino, “Urbino, Nebraska” (Minimum Fax; 237 pagine, 14 euro) ruota attorno a quest’istantanea che non riesce a scrollarsi dalla memoria di un’atipica città di provincia: Urbino. Lo scrittore è di casa e osa: nei ringraziamenti a fine libro dice che l’ha fatto perché prima di lui l’aveva fatto un altro urbinate, Paolo Volponi, con “Strada per Roma”. In questo romanzo ci sono quattro storie che si reggono proprio sulla morte delle due ragazze a più di vent’anni di distanza, anche se nessuno, salvo il Nicola che abbandona il basso per farsi frate, ha qualche legame di parentela con le due. In compenso, c’è Dorina, la madre delle due ragazze che combatte la sua guerra di sopravvivenza al dolore che è in tutte le quattro storie. Se il valore di un romanzo lo si riconosce dall’intreccio, Torino ha colto nel segno: il romanzo si divora, anche se non si è marchigiani, perché si porta dietro un carico di detriti musicali (dal “Nebraska” del titolo, l’album più scuro e “depresso” di Springsteen al cardigan verdagnolo e “slabbrato” di Cobain, feticcio nostalgico dell’unplugged dei Nirvana a Mtv) e sentimenti contrastanti ma tutt’altro che sfuocati — dalla solidarietà diffusa alla nostalgia, passando per l’inevitabile voglia di scappare — della vita in provincia.

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